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Dal 29 giugno al 1 luglio si è tenuto a Chieri (TO) il Festival Internazionale dei beni comuniuna manifestazione di confronto, dibattito e apprendimento, che mette al centro il valore degli spazi  rigenerati come beni comuni per creare innovazione e sviluppo dal basso.

L’edizione 2018 del Festival è stata dedicata al tema della riattivazione degli immobili pubblici come beni comuni per la definizione di una nuova politica di rigenerazione urbana possibile attraverso la promozione dell’uso collettivo di questi spazi, l’abilitazione di soggetti del territorio e il sostegno all’imprenditorialità civica. Il Festival ha inteso contribuire al dibattito in corso in Europa sull’agenda per lo sviluppo e l’innovazione delle città.

L’evento è nato dalla collaborazione tra il Comune di Chieri, Avanzi – Sostenibilità per azioni e .iur (Innovazione urbana rigenerazione) sotto la direzione scientifica di Ilda Curti di .iur e di Claudio Calvaresi di Avanzi.

Proprio a Claudio Calvaresi abbiamo chiesto di raccontare il Festival, facendo anche un primo bilancio su come sono le andate le giornate di Chieri.

Da dove nasce il Festival internazionale dei beni comuni

Il Festival nasce dalla necessità di creare un’occasione di confronto e di scambio tra diversi punti di vistale imprese sociali, i city makers, le amministrazioni, i centri di ricerca, i finanziatori, ecc. perché il tema della rigenerazione urbana insieme al tema dei beni comuni tocca veramente tanti aspetti e soprattutto tante posizioni e interessi non identici. Questo evento è una delle occasioni pensate, in particolare da Avanzi, all’interno di un percorso in cui si trovano anche lavori di ricerca, interventi diretti sulle periferie e le aree interne, incontri e presentazioni di libri, attività formative.

E così nelle giornate di Chieri si sono confrontati tanti soggetti diversi: ricercatori, docenti universitari, dirigenti e amministratori pubblici, fondazioni, cooperative ma anche Cassa depositi e prestiti, Oltre Venture, Nesta, ecc.

Gli highlight del Festival

Si è parlato di periferie; di come le città si muovono per gestire i beni comuni a tutela del loro valore collettivo; si è discusso di Agenda urbana e anche di strumenti e risorse, necessari per creare nuovi spazi, luoghi e occasioni per i cittadini, i city makers, le imprese, ecc.

Tra gli highlight del Festival è emerso un interessante discorso su come le iniziative sociali siano la determinante necessaria per riuscire a dare valore agli asset immobiliari. E’ stato, in particolare, l’intervento di Mario Calderini a mettere in luce un aspetto rilevante: nelle aree di rigenerazione urbana il valore degli asset immobiliari è oggi pari a zero; il loro valore deriva dalla capacità che hanno di generare, accogliere e incorporare progettualità sociale. I luoghi possono acquisire valore, quindi, all’interno di proposte che connettono imprenditorialità sociale, grandi domande di welfare e le nuove possibilità che le tecnologie consentono.

I segnali positivi non mancano. C’è un proliferare di esperienze che stanno producendo beni comuni: si tratta di uno straordinario attivismo dal basso che dà luogo a pratiche culturali e di welfare, che genera nuove economie e lavoro. Eppure sono segnali fragili, pulviscolari, spesso esposti a rischi di fallimento e chiusura per mancanze di risorse o per miopia da parte di chi potrebbe e dovrebbe sostenerli. A cominciare dalla pubblica amministrazione, che però dovrebbe esercitare meno pretese di controllo e più pensare ad abilitare queste pratiche e questi attori.

Ma se l’innovazione sociale è generativa di valore e di nuove economie, come estrarre da queste pratiche e redistribuire valore pubblico? Il Festival si è occupato di periferie, dove coniugare innovazione e inclusione, di aree internedove mettere in campo l’immaginazione per scovare gli sperimentatori, quelli che cercano “lo spazio del possibile”, che vogliono fare impresa, riattivare comunità, riaprire servizi.

Ha discusso di come cambia il governo delle città, nel momento in cui si confronta con la questione dei beni comuni, di come le esperienze di neo-municipalismo stanno ridefinendo il ruolo della leadership politica nei confronti delle “energie sociali”. Si è interrogato su come si fa a diventare sperimentatori urbani, su come riconoscerli e sostenerli, su come orientare l’azione della pubblica amministrazione nel dare spazio a questi nuovi protagonisti dell’economia urbana. E quindi ci si è confrontati sulla finanza di impatto e sui nuovi schemi di sostegno all’innovazione sociale.

Tanti temi che stanno gradualmente componendo un puzzle nel quale molti attori e tante discipline stanno convergendo nella (spontanea) co-costruzione di -parziali e a volte piccole- risposte alle grandi domande del presente.

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